Formula Italia SE025 In pista! - Automobilismo

2022-06-25 11:19:28 By : Mr. zhi chuang yu

La Formula Italia è stata una formidabile fucina di campioni poi saliti ai vertici dell’automobilismo. Questo grazie ai costi abbordabili, che hanno consentito a tanti giovani piloti di formarsi e mettere in mostra le proprie doti. Frutto di un progetto firmato dal geniale Carlo Abarth. Abbiamo provato, in pista a Castelletto di Branduzzo, le monoposto SE025 di KAA Racing...

Formula Italia, detto così potrebbe sembrare uno slogan politico. E in parte potremmo dire che lo fosse, perché questa denominazione racchiudeva un progetto nazionale… ma sportivo. La Formula Italia, che quest’anno compie 50 anni, fu infatti la prima categoria propedeutica nazionale promossa dalla CSAI (Commissione Sportiva Automobilistica Italiana) per formare e lanciare i giovani piloti, con un limite massimo di età di accesso fissato a 26 anni, verso le categorie di vertice dell’automobilismo sportivo. Per questo obbiettivo la filosofia fu quella di realizzare una monoposto semplice ed economica, sia come costo di acquisto che di gestione, ma formativa e uguale per tutti in modo tale da evidenziare il talento del pilota. Missione compiuta. Obbiettivo centrato.

Perché la Formula Italia negli otto anni di attività, dal 1972 al 1979, ha consentito a molti ragazzi di iniziare a correre in auto, tanto che nel corso delle stagioni si arrivò a disputare ben tre batterie di qualificazione alla finale, potendosi mettere in mostra a livello nazionale e favorendo così il lancio di una generazione di campioni che culminò negli anni 80 con una folta pattuglia di piloti presenti in Formula 1. Tanto per fare dei nomi, in ordine sparso: Giorgio Francia, Riccardo Patrese, Michele Alboreto, Siegfried Stohr, Beppe Gabbiani, Bruno Giacomelli, Gianfranco Brancatelli, Piercarlo Ghinzani e tanti altri ancora che corsero poi da professionisti in altre categorie come F.2 o Prototipi. Tra questi Giorgio Francia, che dopo essersi laureato campione il primo anno proseguì in F.2 e Prototipi per diventare poi pilota e collaudatore Alfa Romeo per tanti anni. “Fu una formula azzeccatissima – conferma Francia -, perché la monoposto era formativa ed economica, grazie al fatto che utilizzava molte componenti che provenivano dalle auto di serie.

Perciò metteva tutti sullo stesso piano, consentendo a chi aveva i numeri di mettersi in mostra. Cosa purtroppo impossibile ai giorni nostri, dove per correre sono necessarie risorse alla portata di pochissimi, perciò diminuisce il bacino di giovani piloti da cui attingere per pescare i futuri campioni”. Firmata Abarth La monoposto di Formula Italia, denominata SE025 (dove SE sta per “Studio Esperimentale”), fu l’ultimo progetto al quale partecipò attivamente il geniale Carlo Abarth, come ci spiega a parte Sergio Seccatore che partecipò alla progettazione disegnando la monoposto e tutte le componenti con la supervisione di Mario Colucci.

La SE025 aveva un telaio tubolare a traliccio in acciaio, con carrozzeria in vetroresina, sul quale era montato il motore quattro cilindri 1.600 cc bialbero della Fiat 124 Sport Coupè, che dotato di scarico libero quattro in uno e due carburatori doppio corpo Weber 40 arrivava ad erogare 115 CV a 6.500 giri. Una potenza che potrebbe sembrare non eccessiva, ma abbinata al peso di soli 470 kg (a secco) consentiva alla monoposto di raggiungere i 200 km/h. Il cambio, a cinque rapporti sincronizzati, era quello della Lancia Fulvia HF, dotato di differenziale autobloccante meccanico. Le sospensioni erano a bilanciere, sia all’anteriore che posteriore, con il gruppo molla-ammortizzatore interno e barre antirollio.

L’impianto frenante utilizzava i dischi freno da 227x10 mm derivati dalla Fiat 125, abbinati a pinze a pompante singolo sempre di derivazione Fiat, con doppie pompe freno e bilanciere sulla pedaliera per la ripartizione della frenata sui due assi. Anche i cerchi ruota, in lega, provenivano da modelli Fiat: anteriori da 5,5x13” della Fiat 124 Sport e Autobianchi A112, posteriori da 6,5x14” della Fiat Dino Coupè. La monoposto SE025 Formula Italia fu presentata al Salone dell’Automobile di Torino 1971 e debuttò in gara a Monza nel 1972.

Ieri e oggi All’epoca la monoposto Abarth SE025 di Formula Italia costava poco meno di 2 milioni di lire, che rapportati ai giorni nostri potrebbero essere “tradotti” in circa 20.000 euro. Riprendendo le parole di Giorgio Francia, se volessimo fare un confronto con l’attuale categoria propedeutica nazionale paragonabile alla Formula Italia, la Formula 4 che tuttavia vanta un livello tecnologico più elevato, basti pensare che una monoposto Tatuus F.4 completa di motore costa quasi 45.000 euro e per disputare una stagione competitiva occorre preventivare una spesa di oltre 200.000 euro.

Sogno realizzato Proprio grazie alle caratteristiche di economicità descritte in precedenza, e a parte, anche chi scrive all’epoca aveva pensato alla F. Italia per il proprio debutto in veste di pilota. Purtroppo era necessario avere maturato almeno un anno di patente per ottenere la Licenza Sportiva ed essendo il sottoscritto nato nel mese di dicembre, calendario alla mano, tale debutto avrebbe potuto avvenire solo l’ultimo anno di attività della suddetta categoria. Ma a rompere le… uova nel paniere arrivò una “cartolina” che, ahimè, avrebbe congelato i sogni di gloria, oltre ad un anno di vita! Perciò non ebbi modo di provare quella tanto desiderata monoposto. Ma mai dire mai.

L’occasione si è presentata con, quasi, cinquant’anni di ritardo. E di questo ringrazio Alessandro Trentini, di KAA Racing, che ci ha messo a disposizione la sua monoposto per questa prova. E non una qualunque, perché con questa vettura, telaio #0025 rimasta nella livrea del team Minardi dell’epoca, il bravo pilota milanese ha conquistato nel 2015 il Titolo di Campione Italiano Velocità Autostoriche 5° Raggruppamento, oltre alla Medaglia di Bronzo del CONI al Valore Atletico.

Perciò si tratta di una monoposto conservata e rimasta attiva negli anni. Con noi è sceso in pista anche Giambattista Girola, invece, con una monoposto (#0065) appena completamente restaurata. Guida “old style” Le belle sorprese non sono finite, perché appena calato nell’abitacolo mi trovo il posto di guida che pare cucito su misura, con volante e leva del cambio perfettamente a portata di mano e ottima visuale sulle ruote anteriori, che su una monoposto fanno da punto di riferimento per le traiettorie. Premo il pulsante di avviamento e il quattro cilindri torinese diffonde la sua musica agevolato dallo scarico libero, pronto nella risposta ad ogni colpo di acceleratore come fosse la bacchetta di un maestro d’orchestra, trasmettendo le classiche vibrazioni al passaggio di determinati regimi. La frizione morbida e modulabile agevola la partenza e l’inserimento delle marce, con movimento rapido e preciso nell’innesto.

L’unica difficoltà riguarda l’inserimento della quinta marcia, perché con l’escursione della leva il guanto va a strisciare contro la carrozzeria. Fin dai primi metri il bialbero 1.600 si fa apprezzare per prontezza nella risposta e brillantezza in accelerazione, rapido a salire di giri e con un bell’allungo, accompagnato dalla goduriosa salita della tonalità delle note man mano che la lancetta sale sulla scala del contagiri.

Lo sterzo è leggero e preciso, così come l’ingresso in curva a patto di non voler tirare troppo dentro la staccata, col rischio anche del possibile bloccaggio della ruota anteriore interna, mentre bisogna curare bene la percorrenza manovrando delicatamente volante e, soprattutto, acceleratore. Pena una tendenza al sovrasterzo, più accentuata quando si accelera decisamente all’uscita di una curva lenta o di un tornantino.

Reazioni, comunque, perfettamente controllabili, perché la monoposto è sincera e avverte dolcemente il pilota. Nel nostro caso ancora di più, dato l’assetto piuttosto morbido adottato per le gare in salita. Insomma, divertimento assicurato, proprio grazie alle reazioni “old style” della SE025. Peccato non averci potuto correre all’epoca! mirino perfetto Nella fase di approccio alle curve, come in tutte le monoposto, le ruote anteriori fungono da “mirino” per impostare la traiettoria ideale.

Direttamente dalle parole di Sergio Seccatore, che ne tracciò letteralmente le linee, ripercorriamo il travaglio e la nascita della monoposto denominata SE025 (dove SE sta per “Studio Esperimentale”). “Siamo partiti, nel 1970, da una richiesta da parte della CSAI di una monoposto monotipo, con una sorta di traccia di regolamento che imponeva il più possibile l’utilizzo componenti ricavati da vetture di serie, in modo tale da contenere i costi di costruzione e dei ricambi.

Dopo un rapido studio di quello che poteva fornire il mercato abbiamo scelto una serie di componenti derivate da vetture del Gruppo Fiat, Lancia e Autobianchi, dato che Alfa Romeo non faceva ancora parte del Gruppo. Io mi occupai della progettazione e disegno di tutte le parti della vettura, con la supervisione e spunti di Mario Colucci, responsabile del Reparto Esperienze Abarth, che interveniva spesso sui miei disegni.

Il Signor Abarth passava ogni tanto a vedere come proseguivano i lavori: lui si occupava soprattutto della parte estetica, perché dato che si trattava di un’Abarth ci teneva che piacesse, mentre per il resto ci lasciò ampio spazio di manovra. Per il motore ci fu imposto il bialbero 1600 della Fiat 125 S, che doveva restare di serie, senza filtro aria sostituito dai quattro tromboncini sui doppio corpo Weber da 40. Il cambio era della Lancia Fulvia Coupè HF 1600, cinque rapporti sincronizzati. Per unire motore e cambio fu realizzato un apposito distanziale, che alloggiava la frizione sempre Fiat.

I giunti sul lato cambio erano della Lancia, mentre sul lato ruota erano Fiat, questo ci impose di utilizzare due metà di semiassi differenti uniti tra loro con un manicotto saldato. I montanti erano quelli della A111 sulle quattro ruote, con una modifica nella parte inferiore di quelli posteriori per collegare bracci e puntone inferiori. Per le sospensioni optammo per lo schema a bilanciere, così da poter alloggiare il gruppo molla-ammortizzatore all’interno, dando così un tocco di modernità scimmiottando la moda di quegli anni per quanto riguarda le monoposto delle categorie superiori. Peraltro i bracci superiori erano esattamente uguali su ogni lato della vettura, quindi intercambiabili tra anteriore e posteriore.

Per determinare gli ingombri del telaio eseguimmo lo studio di un figurino che comprendeva il gruppo motore cambio e le dimensioni standard di un pilota, ottenendo così il riferimento dell’asse posteriore dal quale siamo partiti per deliberare quello anteriore, che doveva trovarsi davanti alla pedaliera per ragioni di sicurezza.

Va detto infatti che la Federazione incaricò l’ing. Roberto Nosetto di verificare che ci fossero le massime condizioni di sicurezza, tanto che ci creò più di qualche complicazione per la sistemazione di vari elementi, come cinture di sicurezza, batteria, estintore e impianto elettrico. Un lavoro che si rivelò comunque utile, perché nonostante i numerosi incidenti, alcuni dei quali piuttosto violenti, nessuno dei piloti si fece male. Per definire l’ingombro del pilota facemmo una media tra la misura più piccola di Merzario e la mia (180 cm). Lo stesso per il guscio in alluminio sul quale fare lo stampo per il sedile: mentre lo stavamo modellando con il battilastra, arrivò Abarth che mi chiese di sedermi nel guscio appoggiato sul piano di riscontro per verificare la posizione di guida.

Stabilita la posizione delle varie componenti passammo a definire il telaio, in pratica collegando tra loro le varie componenti deliberate: gruppo motore cambio, sospensioni, sedile pilota, radiatore anteriore etc. Proseguendo nella politica del risparmio si decise di far passare il liquido di raffreddamento, mandata e ritorno tra motore e radiatore anteriore, all’interno dei due tubi inferiori del telaio, così da evitare l’utilizzo dei più costosi tubi in alluminio interni o esterni alla carrozzeria”.

Merzario fu abbastanza critico sulla monoposto al primo collaudo, come mai? “Certamente si sarebbe potuto fare di meglio, ma il nostro vincolo primario era l’economicità, in quanto le monoposto sarebbero state uguali per tutti perciò sarebbe stato compito del pilota fare la differenza”. L’importanza degli sponsor “L’ultima cosa ad essere disegnata e costruita fu la carrozzeria. Colucci mi diede le indicazioni per disegnarla simile alle Abarth F. 3 e F. 2 realizzate in precedenza, che avevano forme piuttosto tondeggianti. A fine luglio il modellista completò il mascherone in scala 1:1 e Colucci organizzò un incontro con Abarth per la delibera delle linee della carrozzeria.

Rientrammo appositamente dalle ferie e piazzammo il mascherone sul piano di riscontro, ma appena Abarth vide il modello cominciò a scuotere il capo in segno negativo. Sentenziò che così non andava assolutamente bene e applicando al manichino alcuni pezzi di cartone, per illustrare quello che avrebbe desiderato, spiegò che servivano superfici piane sulle quali poter appiccicare bene gli adesivi, perché queste monoposto erano indirizzate a ragazzi giovani che non avendo molte risorse economiche avrebbero dovuto avere tanti sponsor ai quali garantire visibilità.

Quindi Abarth ci diede appuntamento per la settimana successiva. E siccome al modellista sarebbero stati necessari almeno quattro giorni di lavoro per fare il modello in legno, avrei dovuto consegnargli i disegni prima possibile. Mi feci aprire dalle guardie l’ufficio, dato che l’azienda era chiusa per ferie, dal quale uscii solo la mattina di due giorni dopo con il disegno sotto al braccio. Il nuovo modello superò l’esame e Abarth mi convocò nel suo ufficio dove, ringraziandomi per l’impegno, mi diede una busta: all’interno c’erano 280.000 lire, quando io ne prendevo 120.000 di stipendio mensile. Sulle prime volevo rifiutare, ma Abarth non volle sentire ragioni”.

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