King's Bounty 2 Recensione: un GDR strategico open world che non convince

2022-06-25 11:24:44 By : Ms. Jingle Pan

In ambito culturale e artistico quasi tutto è stato tentato e realizzato dalla mente umana. Difficile ormai sorprendersi per novità che non siano l'affinamento di qualcosa già proposto da qualcun altro; ma la novità, e spesso i videogiochi ce lo insegnano, non è tutto. È una piccola parte di un insieme in cui a contare davvero è come le idee vengono messe in pratica. Parlando di King's Bounty II si potrebbe dire che è suo malgrado l'esempio perfetto di come non si dovrebbero inseguire gli approcci meno battuti e di come, nel tentativo di costruire qualcosa a cui non capita spesso di assistere, si possa finire per compiere un lavoro confuso e privo d'identità. Nel caso specifico il tentativo è stato quello di fondere un gioco di ruolo story driven con un'impostazione fortemente individualistica (come The Witcher 3 o Assassin's Creed: Odyssey) e uno strategico a turni con una dimensione collettiva: l'eroe non risolve i conflitti direttamente bensì lascia che a occuparsene sia il suo seguito. King's Bounty II è costruito su presupposti inconciliabili ed è dunque scontato che il risultato sia inevitabilmente compromesso. Questo è il problema principale del gioco, a cui ne seguono tanti altri di variabile gravità.

Imbastire un racconto partendo da contraddizioni come quella citata nell'introduzione è un'impresa ardua e che al massimo può dare risultati accettabili. Questo però solo se la scrittura è così infarcita di virtuosismi da far passare in secondo piano le inconciliabilità strutturali. King's Bounty II non ci prova neppure a mascherare le contraddizioni, anzi si comporta come se non esistessero: la storia è quella di un'eroina o un eroe rinchiuso in una prigione perché sospettato di avere avvelenato il re di una nazione chiamata Nostria; dopo settimane di prigionia viene richiamato dal principe, ora al controllo del regno, e incaricato di dipanare il mistero alla base di un cataclisma magico che ha causato la diffusione di un morbo noto come Blight.

Da qui è un susseguirsi di elementi narrativi di maniera: il culto oscuro che cerca l'ascensione attraverso un'apocalisse; il fidato consigliere che è in realtà un traditore al soldo dei cultisti; l'arrivo di personaggi mistici che confessano al protagonista che egli è l'eletto e il destino del regno dipende esclusivamente dalle sue azioni. L'eroe, tuttavia, non è un protagonista tradizionale: non combatte mai direttamente eppure il gioco continua a dipingere i suoi successi come risultato di sforzi individuali. Il manipolo che lo accompagna, inoltre, non esiste davvero, è rappresentato astrattamente in un inventario che contiene ogni unità collezionata, ma mai è visibile nel mondo di gioco (se non durante il combattimento). I combattimenti assomigliano dunque più a minigiochi che a scontri tra eserciti, come se il protagonista facesse una battaglia utilizzando dei Pokémon o un mazzo di carte. La storia è così avviticchiata ai cliché da lasciar pensare che sia intenzionalmente seccante, tuttavia ciò che rende davvero fastidioso seguire il racconto sono le costanti dimenticanze e indecisioni sul ruolo del protagonista.

È o no un condottiero? Dunque per quale motivo praticamente ogni quest del gioco tralascia quest'aspetto? Perché a un personaggio del genere dovrebbero interessare le faccende più piccine e triviali, come recuperare il maiale smarrito di un contadino o il prezioso anello di una signora? King's Bounty II fa finta di essere un gioco di ruolo più tradizionale con protagonista lo stereotipo "murder hobo", pur essendo un titolo diverso nelle premesse. Questa sua ingenuità gli costa tantissimo.

La mappa dove si svolge la gran parte delle missioni è un unico pezzo di terra che coincide con il reame di Nostria. Dopo il prologo, l'avventura parte dalla capitale Marcella e poi si muove attraverso campagne, piccoli villaggi, castelli e una torre dei maghi. Di fatto King's Bounty II è un open world, poiché fatta eccezione per una zona iniziale separata da quella principale, tutti i territori sono fra loro connessi e non si assiste a nessun caricamento, se non quelli che scandiscono l'accesso a brevi dungeon ambientati in dimensioni alternative.

La mappa di gioco, tuttavia, non risponde alle tipiche caratteristiche di un open world: l'esplorazione libera, per esempio, è relativa solo a piccole porzioni, inizialmente scollegate dalle altre da una barriera di progressione o da qualche ostacolo architettonico. L'open world è quindi frazionato in micro zone il cui sblocco è scandito dal procedere della narrativa principale; solo dopo aver raggiunto le battute finali è possibile percorrere il mondo in totale libertà. Se il gioco è così lineare e scandito, allora perché creare un'unica mappa di gioco, vien da chiedersi. Una struttura unitaria può esser certo funzionale alla creazione di un mondo più credibile, può garantire maggiore senso di realismo o permettere di adocchiare a distanza i punti di riferimento già visitati così da creare coesione. C'è però un'altra faccia della medaglia: rappresentare il regno in un'unica mappa vuol dire delinearne le dimensioni reali.

Non è più possibile falsificare la grandezza di una grande città (come avveniva in Dragon Age: Origins, ad esempio), perché quella città è interamente visitabile: le distanze tra un luogo e un altro sono simulate e non lasciate all'immaginazione. L'ambientazione può insomma essere più realistica, ma solo se si accorda con i presupposti narrativi. Il risultato raggiunto da King's Bounty II è quello di fare apparire il regno di Nostria come un paesello acquartierato sulle rive di un fiumiciattolo e collegato da una rete stradale discutibile. Difficile credere che quella dove si poggiano i piedi sia una grande nazione, e quindi sarebbe stato forse più adatto preferire una struttura a macro aree separate per inscenare una finzione più plausibile. Un altro problema è che non esiste alcun ciclo giorno notte, mancanza passabile in un gioco ad aree distinte, ma molto meno in un open world, più concreto e simulativo. Il mondo aperto di King's Bounty II è superfluo e disfunzionale, tuttavia l'ambientazione è una delle poche cose su cui vale la pena spendere qualche parola di elogio. Classica e allo stesso tempo piacevole, caratterizzata da architetture e una geografia tutto sommato credibili. Lo stile del vestiario e delle armature è invece altalenante: si passa da completi coerenti e gradevoli a mostri poligonali i cui pezzi compenetrano tra loro.

L'eroe ha poi la brutta abitudine di portare spada e scudo incollati alle spalle, una tendenza piuttosto comune nei giochi di ruolo e apparentemente innocua se non fosse che scudi più voluminosi compromettono le inquadrature dei dialoghi, nascondendo il volto dell'interlocutore. Un discreto fastidio a cui però non vale la pena dare troppo peso. Le animazioni facciali dei personaggi sono infatti molto approssimative; il labiale è sincronizzato sul doppiaggio russo ed è scoordinato quando si seleziona l'inglese; i volti, specialmente quelli femminili, sono tutti simili tra loro. King's Bounty II non ha un profilo tecnico invidiabile.

Il combattimento è a turni e si svolge su una scacchiera esagonale sovrapposta a un'ambientazione punteggiata da irregolarità naturali oppure da oggetti che possono fungere da riparo per le truppe nemiche e alleate. Il regolamento è tradizionale: le unità con più iniziativa attaccano per prime; il quantitativo di caselle di cui possono spostarsi dipende dall'attributo velocità e la forza d'attacco è determinata dalle statistiche del protagonista sommate a quelle dei componenti della sua truppa. L'unico contributo diretto che il protagonista può dare alla battaglia è quello di evocare incantesimi, anche se il personaggio è un bruto incapace nelle arti magiche.

Le unità appartengono a categorie diverse e ognuna di esse ha delle abilità passive e attive. All'inizio si possono reclutare soldati semplici, animali e qualche non morto, più avanti si sbloccano varianti più potenti e, se l'eroe ha abbastanza denaro e punti comando (una statistica che incrementa con il livello e può essere influenzata anche dall'equipaggiamento), può permettersi mostri leggendari e draghi. Più l'armata è varia e più il morale ne risente: la scelta è quindi quella di avere unità forti ma con morale basso (che si traduce nella possibilità di saltare un turno) oppure unità magari individualmente meno potenti ma affini negli ideali, con la possibilità che abbiano un'azione extra alla fine del turno. Varietà e sistema di combattimento se la cavano bene nella prima manciata di ore, nelle quali, peraltro, si combatte molto limitatamente. Già a metà del gioco tutte le varianti saranno note, tutte le meccaniche approfondite: la seconda metà è insomma una reiterazione delle stesse situazioni che hanno caratterizzato la prima, con qualche difficoltà aggiuntiva. Persino le mappe vengono riciclate a ripetizione in scontri superflui e poco creativi. Non ci sono combattimenti casuali: ogni battaglia è unica e irripetibile, ma lo stesso ha sembianze generiche che non farebbero invidia a un algoritmo di generazione procedurale. In sé i combattimenti funzionano bene, ma hanno delle caratteristiche che ne rendono scomoda la lettura. Innanzitutto la visuale è scorciata e non a volo d'uccello e può capitare che alcuni nemici - o alleati - vengano nascosti da elementi dell'ambiente.

Non è inoltre immediato capire qual è l'unità selezionata (non c'è un ritratto che lo mostri in maniera inequivocabile) ed è facile commettere errori che possono costare anche l'intera battaglia. Manca poi una schermata di riepilogo chiara per consultare gli status applicati alle unità e un modo migliore per leggere gli effetti delle abilità attive, senza dover premere il tasto per usarle. I problemi sono relativi in larga parte all'interfaccia che è piuttosto inadatta a soddisfare le esigenze di un gioco del genere. Mancano poi una serie di funzioni "quality of life" la cui presenza è ormai scontata. Non c'è il salvataggio rapido e il caricamento rapido (che comunque, stando a un post degli sviluppatori, dovrebbero arrivare con un aggiornamento futuro); non c'è una funzione di salvataggio automatico (se non prima di alcune battaglie) e il rischio di perdere progressi per dei crash, che avvengono con discreta frequenza, è altissimo; non ci sono neppure delle opzioni per personalizzare l'interfaccia e eliminare elementi superflui, per esempio i suggerimenti sui tasti da premere nella parte in basso a destra dello schermo.

Il sistema di progressione miscela tra loro caratteristiche della sfera morale e miglioramenti statistici all'eroe e alle truppe. È quadripartito: da una parte si trovano i talenti degli ideali Ordine e Anarchia, dall'altro quelli di Potere e Astuzia. I rami più avanzati si sbloccano solo se il protagonista dimostra fede incrollabile negli ideali: promuovendo la legalità e la risoluzione pacifica dei conflitti accresce il livello di Ordine e Astuzia; comportarsi da criminale e agire d'impulso alza invece il livello di Anarchia e Potere.

Anarchia e Ordine sono tra loro contrapposti, così come Astuzia e Potere, ed è a partire da questi due binomi che le missioni mettono a disposizione delle scelte. Scelte che saranno inevitabilmente influenzate dall'aspetto pragmatico più che da quello idealistico, con la possibilità che la risoluzione di missioni si trasformi in "farming morale". La fusione dei due sistemi è chiaramente maldestra, ma considerato tutto ciò in cui King's Bounty II è carente, il problema potrebbe pure passare in secondo piano.

King's Bounty 2Versione Analizzata PC King's Bounty II è composto da tanti elementi tradizionalissimi fusi tra loro in maniera non convenzionale. Più che fusi sarebbe meglio dire appiccicati l'uno sopra l'altro. L'amalgama di caratteristiche e generi è completamente disorganico, confuso, come fosse l'impasto di trend di mercato selezionati a casaccio. Presi singolarmente non tutti gli elementi costitutivi del gioco sono mediocri, anzi è del tutto possibile rimanere catturati dalle ambientazioni o dal sistema di combattimento. Ma a mancare è il lavoro di raccordo: l'operazione più importante in un prodotto complesso come il videogioco. Ciò che distingue un buon videogioco da uno brutto non è la somma delle parti, è come queste parti interagiscono tra loro, come concorrono alla realizzazione di un obiettivo comune.

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